lunedì 9 febbraio 2015

Home, aaarrrgh sweet home!





Come avrete intuito, il motivo dell’assenza dal blog annunciato ormai tre settimane fa porta il nome di trasloco. Solo a scrivere la parola mi vengono macchie rosse, sudori freddi, secchezza delle fauci, gomito del tennista e ginocchio della lavandaia. No, perché adesso non è che per compensare 26 anni vissuti sempre nella stessa casa - quella di mamma e papà, lasciata nel 2006 per andare a convivere con l’Ingegnere in una mansarda arredata e dotata di vicino psicolabile - si debba per forza iniziare una relazione one-on, one-off con scatoloni e plastica pluriball. Ma tant’è, se ti trasferisci all’estero devi mettere in conto anche un certo nomadismo, soprattutto se vivi in Inghilterra dove è molto frequente che un contratto di affitto vada rinnovato di anno in anno, se non addirittura ogni sei mesi.


E per l’appunto, dopo neanche un anno e mezzo abbiamo nuovamente cambiato indirizzo. Non che qualcuno ci abbia sfrattato o messo una pistola alla tempia per andarcene, a parte un insopprimibile senso della decenza che ha imposto l’ultimatum alla convivenza forzata con la discendenza di Molly e Sam (i due grossi ragni neri, senz’altro parenti di quelli che si vedono in Harry Potter e la Camera dei Segreti, che abitavano sul soffitto del nostro bagno, nda) minacciando di tornare in Italia. Il senso della decenza, dico.

Che quando ti dicono che le case inglesi sono da incubo magari neanche ci credi. O pensi che chi ti racconta di distese di moquette, eserciti di peli di gatto e bidet segnalati a “Chi l’ha visto?” sia stato semplicemente sfortunato. Poi succede che ti trasferisci e cominci a cercare casa. E a quel punto quel tuo amico, con la sua moquette e il bidet non pervenuto, ti appare un privilegiato mentre tu ti ritrovi a fare i conti con il linoleum fallato della cucina, i caloriferi che ospitano il raduno mondiale dell’acaro della polvere, l’edera rampicante che si insinua tra infissi di legno allo stato terminale, una lavasciuga Candy vecchia di trent'anni tenuta in vita con spietato e ostinato accanimento terapeutico e ripiani della cucina talmente imbarcati da aver richiesto il riconoscimento dell’invalidità permanente.

E mentre ti prostri davanti al lavabo con il rubinetto dell’acqua calda rigorosamente separato da quello dell’acqua fredda - ché l’ultima volta che ne hai visto uno così in Italia ti trovavi in qualche vecchia bicocca di montagna ed erano gli anni Ottanta e qui invece li vendono ancora, nel 2015! - ripensi col magone alla casa che hai mollato a Milano, con le sue piastrelle, la cucina laccata rossa, le pareti a filo, gli angoli a 90° e il miscelatore di acciaio inox brillante. Ho visto interior designer finire in analisi per molto meno.

E niente, alla fine ti rendi conto di come tutto diventa relativo. Che se in Italia, quando cerchi casa, ti metti a far le pulci perché vuoi il cotto toscano e invece ti ritrovi ceramica scadente color cacchetta, qui ti scopri pronto a pagar mazzette agli agenti immobiliari per avere quelle stesse piastrelle color cacchetta. Che per avere finestre con doppi vetri e infissi, non dico in alluminio, ma che non si sbriciolino solo a guardarli sei disposto a barattare bidet, miscelatore e cucina a gas. Che per avere una cappa di aspirazione, una finestra e lo spazio per mettere un tavolo da pranzo, accogli con gioia anche la moquette.

Insomma, alla fine scopri che sei anche disposto a pagare un po’ di più, per avere queste cose, e pazienza se per un mese gli affitti si sovrappongono. Perché se nella tua ricerca per un nuovo appartamento - dopo visite confermate e annullate nel giro di 15 minuti perché in quel quarto d’ora la casa su cui puntavi è stata affittata a un altro – ne trovi uno che persin ti commuove tanto pochi sono i difetti che gli trovi e che ha pure le piastrelle in bagno e cucina (lavare i pavimenti torna ad avere un senso!), cerchi di accaparrartelo immediatamente.

E insomma, salutati la nostra nonna inglese e Barney, lo scoiattolo che scorazzava sugli alberi di fronte alla nostra cucina, siamo sbarcati in questo nuovo meraviglioso appartamento dotato di lavastoviglie e bay window - o bovindo, come si legge nelle vecchie traduzioni dei romanzi di Agatha Christie, che era il mio sogno fin da ragazzina - da cui spiare Jonathan e Livingston, i due piccioni che stazionano nel giardino condominiale. E insomma, per un anno almeno siamo a posto. Anche se pluriball e scatoloni rimangono nello sgabuzzino. Si sa mai...

3 commenti:

  1. In Italia pensavo che la casa peggiore che potesse capitare fosse con un bagno senza finestra. Qui ho un bagno grande quanto un armadio, quindi: o finestra o porta e... doccia in cucina. A quanto pare le vecchie case berlinesi erano tutte così :D
    Però cavolo, i contratti di un anno sono impronunciabili! A me son venuti i brividi anche solo a leggere che voi avete traslocato di nuovo !
    In ogni caso: buona casa nuova!

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  2. Cavolo, la doccia in cucina fa tanto minimalismo sovietico :-D E io che mi illudevo che l'edilizia tedesca desse punti a quella inglese (anche perché ci vuole poco a dare punti all'edilizia inglese...)

    Comunque ti dirò, i contratti di un anno non sono neppure tanto male. Alla fine, se il tuo padrone di casa non ha interesse a usare personalmente o vendere l'appartamento e tu ti ci trovi bene, nessuno ti caccia. Noi abbiamo cambiato perché dove stavamo avrebbe davvero bisogno di una ristrutturazione massiccia e il nostro ex landlord è... come dire... indecente. Vantaggio di avere un contratto breve :-)

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  3. Non so bene la storia delle docce in cucina, mi pare siano aggiunte successive (sono Altbau risalenti ai primi del Novecento, quindi con rubinetto acqua calda/fredda separato) ricavate dal ripostiglio, mentre il minimalismo sovietico è visibile nei Plattenbau tutti uguali della DDR, che incredibilmente hanno un bagno normale (cioè senza bidet ahah).

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