È il 1975 e da poco è stata emanata la legge Reale che
attribuisce alla polizia il potere di utilizzare le armi da fuoco per mantenere
l’ordine pubblico e istituisce arresto e carcere preventivo per chiunque sia
sospettato di disordini, anche in assenza di flagranza di reato. In una Genova
agitata dalle lotte sociali e dagli scontri di piazza, un gruppo di ragazzi si
sta dando da fare per aprire un locale, La cattiva strada, che possa diventare
un punto di riferimento, di socialità e di accoglienza del quartiere e, perché
no, della città. Ma arrivare all’inaugurazione non sarà facile. Il nuovo
questore, “un vero stronzo” che arriva da Milano, ha già fatto sapere che non
darà l’autorizzazione all’apertura di un inaccettabile ritrovo di indesiderabili
come coloro che lo vogliono gestire, persone un po’ ai margini a causa di idee
politiche, esperienze di vita, povertà o semplici stranezze.
Come Gesù, un anarchico con alti ideali a cui dà risonanza
con comunicati e volantini, ma un po’ troppo pacifista e non violento per la
sete d’azione di Paoluzzo che ha una eccessiva debolezza per le armi. O come
Nuccia, una puttana “figlia d’arte” che ha rinunciato a un grande amore e a
Parigi, e Nancy, “che si innamora un po’ di tutti, non proprio di qualcuno”. E che fa
perdere la testa al borghese Miché, che si chiama come il protagonista della
canzone di De André ma che non ascolta De André, e che viene da Milano pure
lui, curiosamente come il nuovo questore...
È da qui che parte il racconto di All’ombra dell’ultimo
sole, lo spettacolo, in scena al Tieffe Teatro Menotti di Milano fino a
domenica 16 giugno, scritto da Massimo Cotto sulla base delle canzoni, degli
scritti e delle interviste di Fabrizio De André. Prodotto dallo stabile d’innovazione
Tieffe, che ha preso in gestione lo spazio teatrale di via Ciro Menotti, questo
musical anomalo, punteggiato da alcuni dei brani più significativi (ma non
necessariamente i più famosi) del cantautore genovese, accompagnati da due
chitarre e una fisarmonica in scena, restituisce in forma narrativa una vera e
propria esegesi dell’opera di De André, del mondo che ha cercato di raccontare
e della sua personale lettura dei rivolgimenti storici e sociali dell’Italia
del secondo dopoguerra.
Un’operazione ambiziosa e ben riuscita, che avrebbe potuto
sfociare in una banalizzazione e in una scelta “facile” della scaletta di
canzoni da inserire. E invece Via del Campo è solo evocata, così pure Rimini, Bocca
di Rosa è un personaggio e di Creuza de mâ si accenna solo il ritornello che
però non evoca i mormorii e i rumori delle strade che conducono al porto di
Genova, ma “le grinte, le ghigne e i musi” di chi viene arrestato, incarcerato
e processato per il solo fatto di essere povero. O diverso.
Uno spettacolo dolceamaro, che parla di illusione,
disillusione e volontà di riscatto. Che racconta la sconfitta di una
generazione che ha provato, senza riuscirci, a cambiare le cose. Vuoi per chi
ha tradito, vuoi per chi ha male interpretato l’esigenza di azione, vuoi per
chi ha preferito voltarsi dall’altra parte perché il fuoco ha risparmiato la
sua 1100, in questa storia sbagliata c’è chi è stato travolto. E per sfuggire
all’ultimo, inesorabile dolore, si rifugia nella fantasia e lì trova la propria
redenzione.
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