lunedì 11 maggio 2015

Quello che ho trovato nella provincia inglese



Come raccontato in altre occasioni, l'aver emigrato in Inghilterra è stata più una casualità che una scelta, ché se scelta fosse stata sarei circondata da gente che parla francese, tiene le baguette sotto l'ascella e le mie passeggiate domenicali le farei lungo il Rodano anziché lungo il Tamigi.

Ma è stata sorte anche la città in cui siamo approdati. Reading. Cioè, io manco sapevo che esistesse prima che all'Ingegnere offrissero un lavoro qui. Perché la verità è che, normalmente, quando uno pensa a trasferirsi in Inghilterra pensa automaticamente a Londra. Che infatti è la quinta città d'Italia per il numero di Italiani che ci abitano.


E invece il caso ha voluto che io, i miei vestiti, i miei libri e le mie scarpe da tip tap approdassimo nel cuore della provincia satellite londinese, quelle due o tre contee al di fuori della Greater London, mezzora di treno quando va bene, un'ora e venti quando va male, con un tempo di commuting medio casa-ufficio che si aggira intorno alle due ore. Insomma, non è che l'idea di abitare circondata dalle pecore del Berkshire mi entusiasmasse proprio tanto.

Voglio dire. Da Milanese, nemmeno tanto imbruttita, avevo vissuto con terrore il trasferimento a Pleasantville, che in fin dei conti è la prima fermata di metro verde dopo il confine urbano di Cascina Gobba (mi perdonino i non milanesi se non sanno di che parlo), e lavoravo e facevo tutto a Milano. Qui si trattava di abituarsi a vivere in una città molto più piccola e in mezzo alla campagna. Maveramente?

E niente. Ho scoperto che non vivere a Londra (o Milano, se è per questo) non è l'armageddon, l'apocalisse, la fine del mondo così come lo conoscevi. Certo, a Milano avevo la mia super scuola di danza e a Londra avrei trovato centinaia di valide alternative, mentre qui non è che ci sia tutta questa scelta. E naturalmente se voglio andare a teatro o a mangiare una vera pizza napoletana devo prendere il treno per Paddington (o un aereo per Linate).

Detto questo, quello che ho trovato nel "mio" Berkshire è qualcosa a cui ormai farei molta fatica a rinunciare.

1. Andare a fare vela prendendo l'autobus
Tra Tamigi e canali vari, la zona è ricca di acqua e ci sono diversi laghetti. E praticamente tutti hanno il loro sailing club, che alla fine è un posto dove ci si iscrive con una quota annuale generalmente ridicola per poter andare la domenica a fare un po' di pratica di vela. Quello dove ci siamo iscritti noi è a poche fermate di autobus da casa. Se penso che per fare vela a Milano serve almeno un'oretta di macchina, se non c'è traffico, sulla Laghi o sulla vecchia Valassina...




2. Barney e gli altri
Barney è il nome con cui abbiamo battezzato tutti gli scoiattoli che popolano gli alberi davanti casa. Io li adoro, sono animali divertentissimi. E sono decisamente in buona compagnia. Devo dire che la natura da queste parti è generosa. La quantità di animali selvatici che riesci a incontrare praticamente in città è quasi incredibile. Sopra il tetto di casa si vede spesso volare un nibbio (inteso come uccello rapace, non come l'amichetto del Griso), cardellini e pettirossi ti attraversano il marciapiede, corvacci e gazze ti spiano dai muretti e vicino ai canali è come essere a in Riviera ad agosto, solo che anziché villeggianti ci sono cigni, oche, anatre, gabbiani, cormorani e aironi. 
So per certo che ci sono anche cerbiatti e volpi, ma non ho ancora avuto la fortuna di incontrarli.





3. Toglietemi tutto, ma non i canali
Il lungofiume è la mia passeggiata preferita. A Milano avevamo la Martesana, che è un posto meraviglioso per andare a correre o a camminare, ma fortunatamente non ne sento troppo la nostalgia perché qui i canali non mancano. E poi c'è anche il Tamigi. E nelle giornate di sole sono davvero luoghi speciali, forse i miei preferiti. E, voglio dire, potete darmi torto guardando paesaggi così?



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